venerdì 16 gennaio 2009

Mastella, un anno dopo le dimissioni

Dal Tempo di oggi 16 gennaio 2009, riprendo e pubblico l’intervista rilasciata al quotidiano romano ad un anno dalle mie dimissioni da Guardasigilli.

«Mi dimetto perché tra l'amore per la mia famiglia e il potere scelgo il primo». Esattamente un anno fa Clemente Mastella pronunciava queste parole nell'Aula di Montecitorio. Erano le 10.45. Il ministro della Giustizia del governo Prodi annuncia le sue dimissioni con un discorso, forse il più difficile della sua vita. È un Mastella profondamente amareggiato, deluso e livido di rabbia quello che interviene quel giorno alla Camera. Il governo Prodi cade, ci sono le elezioni politiche ad aprile, vince Silvio Berlusconi. È passato un anno, da quel 16 gennaio. Eppure in Clemente Mastella un po' di rabbia c'è ancora. Anzi, lui la chiama in gergo napoletano «la cazzimm». Ricordando quelle ore, riaffiora anche «tutta la crudeltà» della vicenda, «mai vista in 32 anni di Parlamento».
È vero che decise da solo di dimmettersi?
«Sì, ma perché io ho sempre avuto, nella mia fierezza di uomo sannita, il senso delle istituzioni».
Qualcuno non provò a farle cambiare idea?
«Sì, ma è stato fermato dalle mie obiezioni. Non poteva un ministro della Giustizia, con la moglie di fatto in carcere, rimanere al suo posto».
Sembra ancora molto arrabbiato.
«Guardi, la cosa che mi disturba dal punto di vista umano, con la conseguente considerazione politica, è stata l'assenza di tutto il governo. Tranne Vannino Chiti che ringrazierò sempre».
Non la chiamò nessuno della sua coalizione?
«Se è per questo incontrai anche Prodi dopo, ma in quei casi si sta vicini ad un ministro che si dimette, tra l'altro era il ministro della Giustizia. Possibile che avessero tutti da fare quella mattina? Ricordo ancora le parole di Di Pietro...».
Le ricordo anche io, invitava la magistratura ad andare avanti con l'inchiesta.
«Per l'esattezza disse: chi è causa del suo mal compianga se stesso».
Compianga?
«Sì, compianga. Conosce no, l'impianto lessicale di Di Pietro?».
Esiste un colpevole secondo lei?
«Ci sono sicuramente più fattori. Sa dov'è la stranezza?».
Dove?
«Se io avessi avuto qualche scheletro nell'armadio, secondo lei, sarei andato a fare il ministro della Giustizia?».
È passato un anno. In cosa è cambiata la sua vita?
«Sto ritrovando ora un po' di serenità, dopo momenti terribili che non auguro davvero a nessuno. Lo status in cui mi trovo oggi è quello di rifugiato politico, altro che Cesare Battisti».
Come vanno ora le cose a casa sua?
«Diciamo che anche lì va molto meglio. Ma si rende conto che mio figlio è venuto una sola volta su un volo di Stato e per questo sono finito al tribunale dei ministri?».
Sì, ma i voli di Stato non dovrebbero servire per andare a vedere una gara di formula uno...
«Certo. Ma come mai altri figli fanno telefonate particolari, o sono al centro di vicende giudiziarie, e verso di loro non c'è tutta la cattiveria usata nei miei confronti?».
Veniamo a colui che lei, in un'intervista, ha definito «un po' una mia creatura», Riccardo Villari. Pare proprio incollato alla poltrona?
«E ha ragione. Su questo io la penso come Pannella, e cioè che mandarlo via sarebbe una violenza alle istituzioni».
Altra questione: ma quel famoso accordo tra lei e Berlusconi, ci fu o no?
«L'unica cosa che le posso dire è che io vidi Berlusconi 20 giorni dopo la caduta del governo. Di quell'incontro Berlusconi, poi, diede una versione non fedele alla realtà».
Ecco, allora la dia lei.
«Lo farò nel libro a cui sto lavorando».
Un'anticipazione?
«Nonostante il mio affetto per il suo giornale - Il Tempo era il giornale, insieme al Mattino, che leggevo da ragazzo - mi consenta di rimanere vago su questo».
D'accordo, glielo consento. Quando uscirà questo libro?
«Tra un paio di mesi».
Intanto però, ad un certo punto sembrava fatto anche un contratto per lei in Mediaset.
«Non mi risulta. Ho resistito a ben altri regali, tanto per essere chiaro».
Com'è il suo rapporto con Casini?
«Buono».
Un po' vago.
«Cosa vuol sapere? Se andiamo insieme alle europee?».
Beh, per esempio.
«Vedremo. Ci stiamo riprendendo essendo stati messi a dura prova. Però ad una condizione, che ognuno sia generoso».
Che significa?
«Che non si tratta di incamerare nessuno. Bisogna trovarsi tutti insieme. Certo che comunque per quelli del Pd, lì sarà dura. Voglio vedere come se la caveranno, ora che non ci sono più i piccoli partiti, ora che perdono consensi, non c'è più Mastella che rompe le scatole, con chi se la prenderà Veltroni adesso?».
Sta seguendo le vicende del Pd in Campania?
«Possiamo distinguere Napoli dal resto della Campania? Non è giusto generalizzare su tutto. Le posso fare un esempio?
Prego.
«I rifiuti: ma lo sa che Ceppaloni è al 70% con la raccolta differenziata. E che molte altre città non hanno avuto problemi con i rifiuti? Non è giusto fare di tutta l'erba un fascio. E poi la classe politica, all'ordine dei medici di Napoli manca da mesi un presidente perché non si mettono d'accordo. Come vede non sono solo i politici».
Sta dicendo che quindi è un problema di mentalità generale della città?
«Esiste ed è inutile negarlo».
Sì ma gli indagati nella classe politica ci sono?
«Non mi esprimo a riguardo».
Neanche su Renzo Lusetti, persona che consosce bene?
«No. Spero solo che possa spiegare tutto».
Ora che farà, rimarrà sulla riva del fiume aspettando che passi il cadavere?
«Più che come il cinese mi sento come il conte di Montecristo».
Intanto, zuccotto di lana in testa, fa le telecronache del Napoli per "Quelli che il Calcio".
«Mi diverto molto, e lo zuccotto domenica scorsa me l'hanno dato perché faceva freddo. Che sia chiaro, dalla Rai non prendo una lira».
Giancarla Rondinelli